Cumposta po atobius in quartu di fabrizio cannas

CUMPOSTA PO ATOBIUS IN QUARTU di Fabrizio Cannas

costume_quartuAbito cerimoniale della città di Quartu, da Qart, il cui significato sarebbe “porto dell’incantesimo”, secondo gli studi del linguista Salvatore Dedola (https://www.facebook.com/salvatore.dedola/posts/10204592832406266).

Ammirando la bella foto di Eros Suà, pensavo a quanta grazia e raffinatezza riusciva ad esprimere in passato la mia città natale, nel costume della festa riccamente impreziosito da “is prendas”, frutto della millenaria tradizione sartoriale e orefice.
Un’orgoglio artigianale che a ben vedere all’epoca esprimevano con maestria anche i muratori, i fabbri, falegnami, decoratori, che si poteva ammirare fin dal portale della casa campidanese, sempre aperto fino a sera su quelle corti che emanavano i profumi più disparati, di pane appena sfornato, di biancheria stesa sulle terrazze accanto ai pomodori lasciati a seccare al sole. Il profumo delle mandorle tostate, dei “piricchitus”, quelli giganti. L’odore acre di conigli e galline allevati in casa. Del vino ne “is cupponisi” delle cantine, che mostravano la palma come insegna fuori dal portone. Il Limone, il Gelso, “su barrali”, “sa lolla”, che filtravano l’intimità della casa. Cortili che facevano tutt’uno con la strada e strutturavano le relazioni di vicinato, mescolando pubblico e privato. Che ti facevano sembrare enormi quelle stradine strette e tortuose, dove i bambini trascorrevano la giornata a giocare in totale libertà e sicurezza, grazie all’occhio vigile di quel vicinato, che fungeva da famiglia allargata e si prendeva cura anche degli anziani, talvolta più degli stessi familiari che abitavano distanti in altri vicinati. Vicoli labirintici che ignoravano l’asfalto, dove anche solo il rigagnolo di scolo dell’acqua proveniente dalle case diveniva per noi bambini un fiume in miniatura che disegnava lo scenario fantastico per giochi semplici e gratuiti, come pinkaro o “prontus cuaddus prontus” e tanti altri. Strade percorse da poche auto che s’incrociavano con “is carrettonisi” e gli asinelli, stracarichi di fascine di legna, bisacce e cassette stracolme di ogni ben di dio, contadini che tornavano dai loro campi, pastori, cacciatori “pillonadorisi” che a fine settimana rientravano dalle più lontane foreste. Quartesi che si sentivano Quartesi, e la domenica non mancavano di partecipare ai riti collettivi.

Trascorso appena mezzo secolo si fatica a immaginarla così. Oggi l’ammiriamo ridotta ad una grande periferia, ad un’ammasso indistinto di anonimi quartieri dormitorio, quasi indistinguibili nel panorama dell’hinterland cagliaritano. Con il cuore del suo centro storico ferito a morte, che ha perso del tutto la sua capacità attrattiva. Compromesso e irrimediabilmente irrecuperabile nei suoi caratteri originari, sopraffatto da scellerati sventramenti, demolizioni e ricostruzioni di edilizia dozzinale, fatta con materiali e stili estranei, stridenti e incompatibili con l’architettura organica tradizionale. Con i suoi abitanti ormai in maggioranza quartesi acquisiti, che vi si recano con reticenza, giusto per le faccende burocratiche, che volentieri evitano di inoltrarsi in quelle stradine, preferendo di gran lunga recarsi a Cagliari o nei più anonimi centri commerciali.

Sia chiaro che non ho alcuna nostalgia intesa come desiderio di riportare indietro l’orologio per tornare al bel tempo che fu. Non mi faccio illusioni che i nostri figli possano tornare a giocare liberi e sicuri in strada e nei parchi contando sulla disponibilità del vicino di casa, e non rinuncerei mai alle conquiste sociali ed economiche acquisite, incluso il minor controllo sociale esercitato dal vicinato. E come diceva nonna Ersilia, classe 1917, “è tottu prus bellu”, riferendosi agli indiscussi vantaggi della modernità, specialmente in termini di ridotto sovraccarico di pesante lavoro manuale.

Semmai provo nostalgia e rammarico per quella ricchezza immateriale perduta, fatta di sapienza artigianale, frutto di radici culturali profonde stratificate di generazione in generazione nei secoli, che produceva una dignitosa “bellezza”, senso d’appartenenza comunitario in uno stretto rapporto con il suo territorio, compreso tra il mare e la montagna, ricco di fertili terreni, risorse e bellezze ambientali.
Dispiace che oggi il folklore abbia soppiantato del tutto le ragioni di quella bellezza, che sia stato questo il conto troppo salato da pagare per accedere alla modernità, senza un’alternativa.

La rapidità del processo d’ammodernamento ha provocato una rottura troppo drastica col passato e le radici culturali. Il territorio quartese oggi mostra i segni di una scriteriata pianificazione urbanistica finalizzata quasi unicamente alla residenza e del tutto priva di una strategia economica diversificata di lungo respiro, come avrebbe potuto e dovuto esserlo ad esempio lo sviluppo turistico. La plusvalenza dei terreni agricoli sacrificati per lo sviluppo edilizio ha arricchito un po’ tutti, compresi i contadini, ma ha avuto l’effetto di un progressivo abbandono delle campagne. Un paesaggio agrario per giunta martoriato delle ferite “insanabili” inferte dall’abusivismo edilizio (per lo più condonato) che per dimensione vanta il terzo posto nella classifica nazionale. Di una maleducazione civica diffusa, particolarmente visibile nei cumuli di rifiuti disseminati ovunque negli spazi pubblici e che contrasta con la pulizia e la cura talvolta maniacale riscontrabile negli spazi privati.
Una progressiva e inesorabile perdita d’identità delle nuove generazioni di quartesi.

Io stesso che vi sono nato e cresciuto, faccio fatica a coltivare con la dovuta cura quelle mie radici, il cui stato di salute da quando è morta nonna Ersilia si è di molto aggravato… a iniziare dalla lingua, che è la premessa del senso identitario.
Per di più abito nel cosiddetto Quartello, “la Quartu che non è Quartu” come la definiscono i suoi abitanti (quartesi acquisiti appunto), che è l’emblema del surrogato moderno di Quartu.
Domando cosa significhi oggi sentirsi Quartesi e se possa esserci un progetto di futuro politico per la città. Un progetto che riesca ad andare oltre il semplice impegno, seppure lodevole, di proporsi ai cittadini per garantire una maggiore efficenza nell’ordinaria amministrazione dei servizi erogati al cittadino.

foto di Eros Suà.

Eros Suà con Ishtar Beija-flor

Abito di Quartu S. E. – Santa Vitalia 2014

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