Resoconto dell’incontro dibattito “Dalla sfiducia nella politica alla partecipazione attiva”

Venerdì 1 marzo, all’’incontro-dibattito “Dalla sfiducia nella politica alla partecipazione attiva”, Federica Palomba ha trasmesso contenuti e motivazione, sollecitando curiosità e un dibattito davvero denso. Per chi era presente e per chi non ha potuto partecipare, ecco alcuni spunti per coltivare questo argomento nella nostra Città.

Fare esperienze di partecipazione serve, perché l’esperienza forma le menti e le coscienze, anche se non si perviene subito o sempre al risultato auspicato: sentirne il bisogno è la base per imparare a partecipare alla vita collettiva. Solo il provare può rendere meno vaga e incerta l’idea che la democrazia partecipativa è possibile e più fruttuosa della delega passiva al rappresentante politico, che esprimiamo di tanto in tanto con il voto.

Più viene dato spazio alla partecipazione e maggiore è la perdita di potere del rappresentante/decisore politico. Per questo, le amministrazioni snobbano e evitano di far partecipare i cittadini, come accade nella nostra Città, dove non è stato ancora approvato il Regolamento per gli istituti della partecipazione, obbligatorio per legge dal 2000 (!).
In altri casi, le iniziative partecipative sono proposte dal politico di turno per legittimare decisioni già prese. Questa è una delle trappole, che occorre conoscere bene, per evitare di sentirsi illusi, e un attimo dopo delusi e ancora più sfiduciati.

Fino a qualche tempo fa, le scelte politiche venivano discusse presso le sedi dei partiti, nelle quali si formavano posizioni, idee, coscienza politica: quella prassi – quando virtuosa – generava coinvolgimento dei cittadini nella vita pubblica. Oggi questo spazio rimane troppo spesso disabitato, non sfruttato.

Non è opportuno affermare che i giovani non partecipano: partecipano se nessuno glielo impedisce o li fa sentire incapaci, “stranieri” indifesi in un mondo di tranelli, bugie, disfattismo, sfiducia. Di recente, un’iniziativa popolare attivata dai giovani “fuori famiglia” (cioè che fino ai 18 anni hanno vissuto in affidamento o in comunità) di tutta Italia, ha portato all’approvazione di una legge e di un fondo che li accompagnerà nel raggiungere la loro completa autonomia. Questi giovani dimostrano di saper porre problemi e anche contribuire a trovare le soluzioni, da protagonisti, non come spettatori annoiati.

E’ fuorviante pensare che i cittadini non siano predisposti o motivati alla partecipazione: questo è vero quando manca la CULTURA DELLA PARTECIPAZIONE. La partecipazione è un “bene immateriale non economico”, cioè non produce soldi. Tuttavia “costa” (i processi partecipativi costano anche soldi, oltre che tempo) e, soprattutto, “ha un valore” nel sollevare il benessere, la coesione sociale, il senso di appartenenza. La partecipazione crea “capitale umano”.

Rinunciare a provarci sarebbe una perdita, perciò è probabile che su questo tema torneremo altre volte.
Un ringraziamento a Federica e a tutti i partecipanti.

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